Furio Stella: il ricordo di Stefano Edel, Martina Moscato e di chi ha avuto la fortuna di conoscerlo

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(red. – Vi proponiamo di seguito i commiati vergati di proprio pugno da chi ha lavorato fianco a fianco con Furio Stella e di chi ha avuto il piacere e la fortuna di conoscerlo. Vi invitiamo inoltre a cliccare su questo link: vi rimanderà al blog da lui curato, in cui sono raccolti i venti articoli da lui scritti sul Calcio Padova che salverebbe. Uno più bello dell’altro. Come tutti quelli che ha scritto, peraltro. Ciao Furio)

 

Furio Stella Mattino

(Mattino di Padova, Stefano Edel) Ci stavamo gradualmente abituando a quella scrivania e a quella sedia vuote in redazione, dove, dietro al suo computer, attaccato con un pezzo di scotch, c’è ancora il gagliardetto della Triestina, l’amata squadra dell’alabarda. Ma alla morte no, non eravamo preparati. La sua malattia era di quelle che lasciano poche speranze, eppure continuavamo a credere che Furio Stella, spentosi a 57 anni domenica notte all’ospedale di Monselice dov’era stato ricoverato poche ore prima in condizioni critiche, ce l’avrebbe fatta a vincere anche questa battaglia. «Ho la pelle dura, io!», continuava a ripetere ad agosto, quando i valori del sangue erano diventati di nuovo allarmanti, vanificando gli effetti positivi del trapianto di midollo a cui si era sottoposto ad Udine e che gli aveva restituito la voglia di continuare a lottare. Ora, invece, siamo qui attoniti, increduli, affranti, oberati da un peso enorme da sopportare. Perché parlare di Furio, e ricordarlo, significa automaticamente andare oltre la figura del collega con cui si sono divisi quasi tre decenni di lavoro quotidiano, fianco a fianco, nel settore sport del mattino di Padova. Se n’è andato un amico vero, quasi un fratello per il sottoscritto. Un uomo buono, amato, semplice e al tempo stesso straordinariamente originale. Un giornalista arguto, ironico e sferzante, in grado di cogliere sempre il senso della notizia e di svilupparla al meglio. Dal 18 giugno 1984, quando fu assunto dopo il solito periodo di “gavetta” da collaboratore, al 31 dicembre 2013, data della sua uscita per una pensione anticipata imposta da uno stato di salute che non poteva più conciliarsi con i ritmi incalzanti del nostro mestiere, Furio è stato un compagno di viaggio meraviglioso. E ora che non c’è più, che le sue frasi e le sue battute risuonano nelle orecchie come un tam tam dolce e malinconico, il dolore si fa tagliente come la lama di un coltello nello stomaco. I ricordi affiorano a getto continuo, il suo era un pozzo di saggezza e genialità da cui attingere a piene mani.

Il primo incontro tra di noi, ad esempio: lui, triestino doc (e se ne vantava, eccome!), io, veronese nato sotto le Torricelle, la collina che sovrasta la città scaligera. Agli antipodi come storia e cultura personali, eppure, piano piano, accomunati da un amore per il Calcio Padova che, a prescindere dagli obblighi professionali, ci ha portati ad essere testimoni entrambi di pagine e momenti indimenticabili. Il Biancoscudo è entrato di prepotenza nella nostra vita, terreno fertile dove accomunare fantasia e competenza, passione e (legittimo) orgoglio. Come non riandare, con la mente, a quel pomeriggio infernale – caldissimo come temperatura e bollente per la tensione che prorompeva dal campo – del 15 giugno 1994, in cui a Cremona il Padova si giocava, allo spareggio con il Cesena, la promozione in serie A? Più di 10.000 padovani mobilitati, un tifo da brividi, una squadra da emozioni indicibili. E noi due lì, in tribuna, insieme a Claudio Baccarin e Giovanni Baschieri, a sudare freddo e a temere di non farcela a vedere quel sogno – dopo 32 anni di attesa – materializzarsi sotto i nostri occhi. Fu una partita memorabile e quando, al fischio finale, saltammo tutti in piedi dalle sedie, Furio, con gli occhi umidi, mi urlò: “Ciccio, è fatta! Non ce la toglie più nessuno, questa fottutissima serie A”. C’era Gildo Fattori, sulla destra, che aveva appena concluso la radiocronaca al telefono e che, crollato come un bambino esausto, si lasciò andare ad un pianto incontenibile. Bisognava far festa, urlare la nostra gioia all’Italia intera, invece piangevamo come fontane. Solo esperienze così servono a farti capire quale immenso potere aggregante abbia lo sport, e il calcio in particolare.

Ma Furio era tanto altro, dispensatore di pillole di verità che mi lasciavano spesso basito. Nelle trasferte che facevamo insieme nelle città della massima serie, ingolositi dal fatto di avere accesso agli stadi più importanti e di ritrovarci seduti accanto alle firme prestigiose dei quotidiani nazionali, noi umili cronisti di provincia, riusciva sempre a trovare spunti di riflessione su cui costruire gli articoli per il giornale. Come quella volta in cui prendemmo l’autostrada A/4, diretti a Milano per assistere a Milan-Padova. Colonne di auto, alle 10 della domenica, targate Pd dirette verso Verona, e la sensazione, rivelatasi poi errata, di avere una spedizione massiccia di tifosi al seguito. «Sta’ a vedere», mi sbottonai, «che oggi ne facciamo 5.000». E lui: «Ci credi davvero? Guarda che questi vanno tutti a sciare». Ma sul tetto di molte vetture, di sci non c’era traccia.Giunti allo svincolo con l’Autobrennero, noi tirammo dritto, mentre la gran parte di quella carovana svoltò proprio a destra, per puntare verso le Dolomiti. «Càspita, avevi ragione tu…», convenni, non senza un moto di sorpresa. Sorrise, soddisfatto della sua previsione azzeccata. Come tutte le persone geniali, aveva bisogno di tempo per trovare l’ispirazione e, quando scriveva, parlava sottovoce, seguendo un filo logico che non bisognava interrompere, pena la sua sbuffata proverbiale. Andava via con il suo stile, sciolto e graffiante allo stesso tempo, mai eccedendo nell’ironia, anzi sfruttandola al massimo per sdrammatizzare le situazioni. Quel che ci univa, di bello e incredibilmente unico, era la sintonia nei giudizi: vedevamo la stessa partita, valutazioni dei singoli (le famose pagelle) comprese. Quante cose mi ha insegnato in questo senso, fine osservatore com’era anche del minimo particolare. “Sentiva” le gare come pochi, gli piaceva stare a tavola ma non andava mai oltre un solo piatto, che fosse prima o dopo i 90’ non faceva differenza. Calcio, sport a tutto tondo, ma anche la scienza. Me ne parlava, sempre nei nostri viaggi domenicali, con il bisogno di condividere un’altra passione travolgente. Gli Ufo e i cerchi di gran o, quante volte le ore ci sono volate via con quegli argomenti… Ci mancherai, Furio, per questo e per tante altre qualità. Quella scrivania in redazione è ancora piena delle tue agende e delle tue carte, un “tesoretto” che ci consegni, insieme alla bellezza delle tue vignette (di cui ero uno dei soggetti preferiti, ma ci stava…). Riposa in pace, adesso, dopo tanta sofferenza. E da lassù strizzaci l’occhio, qualche volta, se puoi. Ciao, grande! CIAO FURIO!

(TgBiancoscudato, Martina Moscato)

“Scolta Marty, i dise che so matto mi. Mi me par che sia tutto il resto del mondo che no capisse…”. Quanto mi facevi sorridere quando, con l’inconfondibile e immancabile inflessione triestina, ti chiedevi se tutto quello che facevi e in cui credevi aveva un senso.

Sì, è vero. Tu eri quello che guidava contromano lungo l’autostrada della vita ma pensava che ad andare nella direzione sbagliata fossero tutti gli altri.

Avevi ragione tu.

Era la tua la direzione giusta.

Tu vedevi sfumature che nessun altro vedeva. Coglievi sentimenti che nemmeno chi provava sapeva di avere nel cuore. Raccontavi le storie, quelle importanti. Perfino dei calciatori, di cui si dice di tutto e di più tutti i giorni e spesso non son nemmeno cose positive, riuscivi a trovare un lato umanissimo che sarebbe piaciuto anche a chi di calcio non si interessava. Ricordo l’intervista a Vlaovic dopo l’intervento alla testa: le tue domande in grassetto, le sue risposte esattamente come te le aveva date, con i congiuntivi sbagliati e le parole messe insieme alla rinfusa, che rendevano perfettamente l’idea di un ragazzo che aveva passato un bruttissimo momento ma che stava ricominciando a sorridere alla vita. Rileggo spesso quella a Bedin, dopo che esibì la maglia “I believe in Jesus” e la sua profonda religiosità. Ripenso all’intervista al fuorigioco. “Scusi, signor fuorigioco…”. Esilarante, arguta, solo uno come te poteva pensare di intervistare una cosa che tutti sanno cos’è (ad esclusione delle donne) ma nessuno capisce a cosa serve.

Cavalcavi il battito del cuore di tutti. E poi scrivevi che era un piacere immenso leggerti. Perché tu prima che saper scrivere sapevi leggere. Fondamentale. Non si può scrivere se non si sa leggere. Se non si sa vedere la vita. Se non si ha la sensibilità giusta per andare dentro le cose. Dentro le persone.

“Marty non possiamo volere così male ai nostri lettori” mi dicesti una volta al telefono dopo aver letto un pezzo che ti avevo inviato. Avevi ragione. Nemmeno mia mamma che mi vuole tanto bene sarebbe andata oltre la terza riga di quell’articolo tanto era noioso e scritto male. Eri severo ma non perdevi mai la calma e se ho imparato qualcosa di questo mestiere lo devo anche a te.

Quante trasferte insieme, Furio! Dopo aver scritto nelle condizioni più improbabili due pagine di giornale, condividevamo la fatica della giornata trovando puntualmente il ristorante giusto. Perché, mi dicevi sempre, “La partita si può sbagliare, il ristorante no!”. E allora via con il tagliere di affettati misti di Prato, con la bistecca alla fiorentina di Lucca, la pasta allo scoglio di Pisa, l’antipasto tipico dell’osteria di Pistoia. E via con quel simpatico cameriere di Cesena che, quando alzasti il piatto per cercare di aiutarlo a sparecchiare, ti rispose simpaticamente indispettito: “Io sono pagato 12 milioni al mese (c’erano ancora le lire, ndr), lasci giù quella forchetta che mi arrangio io”. I personaggi più strani e più autentici, in giro per gli stadi d’Italia, li abbiamo beccati noi: forse perché eravamo “strani” a nostra volta nel nostro modo di prendere la vita per le corna, e li attiravamo come le calamite.

Ti ricordi quella volta che, a Pavia, invece che appoggiarci alla redazione del giornale locale, ci siamo fatti convincere da un giornalista free lance ad andare a scrivere nel garage di casa sua, adibito a mini ufficio? Lui continuava a dire: “E’ qui vicino, sono due passi a piedi” ma non arrivavamo mai. Ad un certo punto, dopo chilometri e chilometri con borse, computer e tutto il resto tra vicoli, discese e salite, non ce l’hai fatta più, l’hai fermato e con quel poco fiato che ti era rimasto non gliele hai mandate a dire, ovviamente alla tua maniera, senza essere minimamente sgarbato: “Scusa, non è per dire. Ma è un’ora che camminiamo e io inizio a sentire i limiti della preparazione estiva che evidentemente non ho svolto come dovevo”. Lui è scoppiato a ridere e come per magia siamo arrivati (te lo dico adesso: secondo me si è intrufolato nel primo garage che ha trovato aperto, mica era casa sua quella!).

Ci siamo fatti su e giù l’Appennino negli anni in cui il Padova era in serie C ed era nel girone con le toscane. E ogni volta che, lungo l’autostrada, vedevi un falco appollaiato sul guard rail mi dicevi sempre: “Io sono come un falco. Mi piace starmene a contemplare la natura tutto solo, anche per ore. Secondo me nell’aldilà la vita è così. Ti fai i cazzi tuoi e stai da Dio, poi ogni tanto incontri qualcuno, che ovviamente non è un rompiballe, e lo saluti. Ci scambi due parole. E poi torni nel tuo stato contemplativo”.

Mi hai insegnato a ridere dei miei gravi problemi. A vedere tutto con ironia. Sei stato un compagno di viaggio fantastico. Quando Gigi Carrai ha deciso che dovevo iniziare a seguire il Padova mi ha messo te di fianco. Sapeva che mi avresti coltivato a dovere. Che avresti tirato fuori il meglio di me. Mi dicevi sempre: “Marty le notizie ci sono. Devi fare ogni giorno almeno 10 telefonate. Chiama tutti. Il magazziniere. La moglie del presidente. L’ultimo dei panchinari. Di sicuro, una notizia viene fuori”. Mi consigliavi: “Leggiti ogni giorno i pezzi di sport dei quotidiani nazionali, si impara sempre molto da chi è più bravo di noi”. Io, invece, prima di sfogliare la Gazzetta, leggevo te. Perché eri il più bravo di tutti. E quando hai capito che questo mestiere stava prendendo una brutta piega, hai deciso che avresti scritto un pezzo ogni tanto, solo quando la notizia valeva la tua penna il tuo ingegno e il tuo modo di raccontarla.

Dovevo venirti a trovare mercoledì a casa. Purtroppo ci vedremo proprio mercoledì. Purtroppo nell’unico posto e nell’unico modo in cui non avrei voluto vederti. Grazie Furio. Rivedrai tante delle persone di cui hai scritto lassù. Tra tutte salutami Lello Scagnellato l’unico che, esattamente come te, non sono riuscita a salutare come volevo.

Ciao Furio, fai buon viaggio.

P.S.: scusa se questo ricordo non riesce ad essere bello come quello che avresti scritto tu per me. Porta pazienza. Spero che mia mamma e tutti gli altri riescano ad andare oltre la terza riga: significherebbe che ho reso almeno in parte l’idea di chi sei stato e continuerai ad essere dentro di me.

(Corriere del Veneto) Furio Stella, dal 1978 al 2013 giornalista del gruppo Finegil, per cui si occupava soprattutto di sport, è scomparso ieri dopo una lunga malattia. Aveva 57 anni. I colleghi lo amavano, così come i lettori. Era per quel suo modo di affrontare la vita e il mestiere: in direzione ostinata e contraria, ma con i passi lievi dell’intelligenza e dell’ironia. Furio era controcorrente, talvolta pure stravagante come le camicie viola che indossava; però mai banale. La sua penna era ricca di arguzia e di curiosità: lasciava, per dirla alla Gianni Clerici, una «traccia iridescente, un puntino di polline divino». Aveva uno stile inconfondibile, Furio: tagliente, ma allo stesso tempo dolce e umano, sia nel resoconto di un allenamento, quanto nei suoi deliziosi racconti brevi (in questo senso, «La Casa dei Mulini a Vento» è un piccolo gioiello). Furio era nato a Trieste come Nereo Rocco: non a caso al paron era legato visceralmente (il suo ultimo libro si intitola proprio «Il cameriere di Rocco»). Tra i due non c’era solo una comunanza di destini sulla strada da Trieste a Padova ma anche di spirito. Perché in fondo Furio, che per tante cose riusciva a vedere oltre (l’altra sua grande passione, con il calcio, era la scienza: nel 1995 fondò l’edizione italiana di «Nexus» di cui fu direttore fino al 2004), era un uomo puro, ancorato ad un calcio e a un giornalismo autentici, che forse non esistono più. I funerali si terranno domani nell’abbazia di Praglia alle 15,30. Da parte della direzione e della redazione del Corriere del Veneto le più sentite condoglianze ai familiari di Furio e ai colleghi del gruppo Finegil

(Gazzettino) Ci mancherà la sua impressionante frequenza di battute di spirito, che fino all’altra notte hanno permeato la sua esistenza. Con la scomparsa di Furio Stella a soli 57 anni, il giornalismo con la “g” maiuscola perde un pezzo di storia. Redattore sportivo del Mattino di Padova, è stato anche eclettico interprete della vita, come è testimoniato dal fatto che ha fondato la rivista scientifica Nexus, e ha scritto libri, l’ultimo dei quali “Il cameriere di Rocco”, dove viene esaltata la sua acuta intelligenza. Così lo ricorda il nostro collega Paolo Donà, che con lui ha condiviso centinaia di trasferte al seguito di Padova e Cittadella: «Tra noi c’era concorrenza soltanto sulla carta, perchè le ore di trasferimento erano dedicate alle più svariate tipologie di conversazione. Con qualche momento di assoluta unicità: ad esempio una sera – vigilia di una partita al Sud – ha esclamato “sai che guido con i piedi?”. Incredibile, guidava perfettamente, pur costretto a una evidente postura anomala. Il senso della battuta gli apparteneva come la professione che ha scelto: quando in una occasione gli ho detto che era un trapiantato a Padova, mi ha replicato sorridendo “veramente mi hanno trapiantato a Udine…”, alludendo al trapianto di midollo effettuato nel 2012. Il triestinissimo Furio, da oltre 40 anni padovano di adozione, con altrettanto senso dell’umorismo si lagnava della statua del suo antenato Lucio Arrunzio Stella, poeta latino del primo secolo, più o meno davanti alla Loggia Amulea. Il motivo? Mancava la mano destra. Date una mano al mio avo, aveva scritto al sindaco». Sempre puntuale la sua adesione alle partite della squadra di calcio padovana dei giornalisti, presieduta da Sergio Giordani, che giocava per beneficenza: la scuola elementare costruita in Brasile, che porta una targa a ricordo degli “amici padovani”, è anche merito suo. I funerali si terranno domani alle 15.30 all’abbazia di Praglia. Furio ci guarderà da lassù con la sua solita aria scanzonata.

(Mattino di Padova) LUCA ZAIA Un vuoto incolmabile «Furio Stella è stato un grande professionista del giornalismo sportivo, conosciuto e stimato». Così il presidente della Regione del Veneto Luca Zaia. «Stella – aggiunge il presidente – con la sua trentennale attività è stato un esempio di doti professionali e umane. Senza ombra di dubbio fa parte della grande squadra di coloro che hanno travasato nella loro professione capacità ed entusiasmo e per questo lasciano sempre un vuoto incolmabile». DI MARZIO Ironico e divertente «Davvero triste perché era un collega che stimavo molto e una persona ironica e divertente. Ciao Furio Stella». Così il giornalista Sky Gianluca Di Marzio su twitter. RUSSELLO Dove non galleggiano tutti «È morto Furio Stella. Giornalista, scrittore, amico. Uno difficile ma vero. So dove sei Furio: dove non galleggiano tutti gli altri». Così Alessandro Russello, direttore del Corriere del Veneto, su twitter. RUFFATO Competente e indipendente «Esprimo la mia vicinanza e partecipazione al dolore della famiglia e dei giornalisti del Gruppo Finegil per la scomparsa di Furio Stella», sono le parole di Clodovaldo Ruffato, presidente del Consiglio regionale del Veneto, «Condivido con quanti amano lo sport, il ricordo indelebile di un cronista appassionato, competente e indipendente». RAFFAELE ZANON Un triestin verace «Un triestin verace che amava la sua terra e che a Padova con la sua firma ci ha fatto discutere con intelligenza». Così Raffaele Zanon, coordinatore regionale di Fratelli d’Italia, sul sito del nostro giornale. BARBARA CARRON Così nacque Lady B. L’ex vicepresidente del Padova della serie B, Barbara Carron, sul suo profilo facebook ha ricordato Stella pubblicando un suo articolo dal titolo “Così nacque Lady B.”. Il nomignolo Lady B, infatti, lo ideò proprio Furio Stella quando il Padova, con l’indimenticabile successo di Busto Arsizio, fu promosso. MARTINA MOSCATO I dise che sò mato mi Martina Moscato, volto di Telenuovo e del calcio Padova televisivo, ha ricordato nel suo blog gli anni in cui, collaboratrice del nostro giornale, andava con Furio Stella a seguire il Padova in trasferta. Il blog, che ha avuto ieri un grande successo tra i tifosi, comincia così: «Marty, i dise che so mato mi, Mi me par che sia tuto il resto del mondo che no capisse…».




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