Padova, Parlato: “Quest’estate è passato l’Eurostar biancoscudato, e io l’ho preso al volo. E ho intrapreso veramente un bel viaggio…”

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Fonte: Mattino di Padova, Stefano Volpe

L’allenatore dell’anno. E non è un modo di dire. Carmine Parlato è stato il tecnico più vincente, dalla serie D alla serie A, in questo 2014. Un anno strepitoso per il 44enne campano, cominciato con il grande girone di ritorno, che ha permesso al suo Pordenone di vincere campionato e scudetto dilettanti, e continuato alla guida del Padova dei record di questa prima parte di stagione. Numeri impressionati, che parlano di 82 punti raccolti in campionato nell’anno solare, equamente divisi tra Pordenone (con una gara in più) e Padova. La media è di 2,48 punti a partita, nessuno ha fatto come Parlato, e l’eccezionalità dell’impresa è sottolineata anche dal fatto che sia arrivata con due squadre diverse. «È una grande soddisfazione e gratificazione», sorride l’allenatore biancoscudato. «La scorsa stagione è stata una bellissima cavalcata, durante la quale ho provato sensazioni splendide. Ma da luglio in poi credo di aver intrapreso veramente un bel viaggio». Sì, perché sembra impossibile, oltre che paradossale, ma l’allenatore dell’anno, nei suoi 12 mesi da record, ha subìto anche un esonero. A distanza di sette mesi cosa rimane di un avventura chiusa in modo così amaro a Pordenone? «Che sono cascato bene ed è meglio che sia andata così, vedendo come si sono evolute le cose. L’unico rammarico che ho provato sul momento era l’essere stato confermato per la Lega Pro, salvo essere cacciato due settimane dopo, senza aver avuto il tempo nemmeno di fare mezzo allenamento».

«Il presidente dice di aver agito a causa di divergenze di vedute da parte sua, anche se in realtà le divergenze erano bilaterali. Io non voglio male a nessuno, anche a chi non si comporta bene. Tanto, come diceva mio papà: “Vedrai che queste persone si bruciano con le proprie mani”…». L’immagine da ricordare di questo 2014? «La prima amichevole ad Asiago davanti a 1.500 padovani. C’era chi diceva: “Preparatevi, verranno su in tanti”. Ma nessuno aveva la percezione reale di quello che poteva succedere. Vedere la bolgia che c’era ha fatto capire a tutti noi addetti ai lavori il valore del calcio a Padova e la passione che lo circonda». Il momento più delicato? «L’inizio sicuramente. È stato durissimo preparare la squadra in 10 giorni. In quei momenti non pensi minimamente al futuro ma solo all’immediato. È stato stramaledettamente difficile creare l’amalgama giusto in così poco tempo ed essere costretti anche a dare il benservito a tanti ragazzi. Per questo, oltre alla società, mi sento di ringraziare il ds De Poli, che ha sposato le mie idee affidandosi all’esperienza che avevo accumulato. Non è da tutti». Il momento più esaltante? «Da quando sono arrivato a Padova, non c’è stato solo un giorno, ma è tutto un continuo di sensazioni entusiasmanti. Ogni martedì cerchiamo di azzerare tutto e pensare solo alla partita successiva. Il pubblico ci sta dando una grande mano».

Che sapore ha allenare la squadra della città in cui si vive? «Ha aspetti negativi e altri positivi. Finora io sono riuscito a fare emergere solo questi ultimi. Oggi sembra tutto semplice, ma tanti colleghi sconsigliano di allenare dove si ha radici. “Poi se le cose vanno male non puoi nemmeno uscire di casa”, dicono. Ma scusate, mica ho ammazzato qualcuno! Io cerco di dare sempre il massimo impegno. Nella vita, poi, ci sono Eurostar che passano e che non possono in alcun modo essere persi. E io quest’estate l’ho preso al volo». Com’è Carmine Parlato fuori dal campo? «Un papà come tanti che porta a scuola le figlie e sta con la famiglia. Cerco di essere una persona semplice. Vivo per la passione di arrivare ad allenare più in alto possibile e voglio guadagnarmelo giorno dopo giorno per fare in modo di poter lasciare ai miei figli soddisfazioni morali ed economiche». Nessun hobby che le permetta di staccare la spina ogni tanto? «Ciò che mi fa stare bene è la compagnia degli amici più veri. Ma io, finché non ho raggiunto un obiettivo, la spina non la stacco. Come si dice dalle mie parti, sono una “capa tosta”, sia nella vita che in campo». Cosa si augura per il 2015? «Di continuare così e far star bene i miei ragazzi sia a livello sportivo che personale. Non abbiamo ancora fatto nulla e io tendo a non guardare troppo in là. Ora arriva il pane duro e bisogna pedalare alla grande per i prossimi sei mesi».




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