Padova, Parlato: “Cunico è il nostro Francesco Totti! E quando sono entrato in spogliatoio dopo la sconfitta con l’Union Pro…”

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Fonte: Mattino di Padova, Francesco Cocchiglia

Com’è strana la sensazione che si avverte il giorno dopo Padova-Altovicentino. Carmine Parlato scorre gli occhi sul calendario del girone C: tutti i buchi sono stati riempiti, tutte le partite si sono giocate, il campionato è finito davvero. Fa sorridere, con il senno di poi, l’immagine di quel pullman in partenza per Asiago il 5 agosto 2014: di quei 30 giocatori pronti all’avventura, a fine anno ne sono arrivati solo sette. Nel mezzo c’è stata una stagione magica, da rivivere partita per partita in prima persona. «Se fosse un film, questo campionato sarebbe “Ogni maledetta domenica”», comenta Parlato, regista di una cavalcata da ricordare. L’inizio. Scorre l’elenco delle partite: quel Padova-Union Pro 3-0, esordio in campionato, sembra così lontano. «Ma il mio racconto deve partire dal ritiro sull’Altopiano», puntualizza il tecnico biancoscudato. «È stata la fase più delicata, intensa e difficile del lavoro». Metti un po’ di “fedelissimi”, qualche fuori categoria qua e là, il carisma di alcuni uomini-chiave e la scelta, minuziosa, dei migliori giovani disponibili, e il gioco è (stato) fatto.

«La preparazione, nonostante la difficoltà, è andata abbastanza bene. Poi, però, è maturata la prima svolta, lo spostamento di Cunico da mediano a trequartista: tutta la squadra ne ha beneficiato, non solo lui. Marco è stato il nostro Francesco Totti: se lo metti davanti alla difesa è naturale che possa mandare gli attaccanti in porta in qualsiasi momento, ma le sue caratteristiche sono ancora più devastanti davanti». Otto di fila. Un assaggio in Coppa Italia del clima di un Euganeo ritrovato, poi si comincia a fare sul serio. Dall’’Union Pro all’Arzignano il Padova conosce un solo risultato: la vittoria. La squadra nata in fretta e furia ingrana che è un piacere, corre in testa alla classifica e abbatte il primo record in un’annata da primatista assoluta: «Con le prime otto vittorie consecutive già avevamo scritto qualcosa di incredibile, e la più importante è stata quella con il Belluno: per la prima volta ci confrontavamo con un avversaria di alta classifica, quei tre punti ci hanno dato più forza e consapevolezza». Triestina e Clodiense si mettono di traverso, poi a Sacile giunge la prima sconfitta. Ma è una piccola parentesi.

Un assaggio di ciò che sarebbe avvenuto più tardi, a gennaio: la prima (e unica) vera frenata in un campionato condotto al massimo. La resa dei conti. Dopo Valdagno, ecco l’Union Pro: in due sole partite il Padova si ritrova costretto ad inseguire dopo esser stato a + 5 sull’Altovicentino. Perso il primato in classifica, per la prima volta Parlato entra nello spogliatoio della squadra alla Guizza: «Chi mi conosce sa che non vi entro mai. Ma quando lo faccio, vuol dire che c’è qualcosa che non va». Nel racconto dell’allenatore il confronto con la squadra è un momento decisivo della stagione: «Ci siamo fermati a riflettere, a capire se ci fosse qualcosa nella testa che avrebbe potuto creare delle difficoltà. Qualcuno, tra chi giocava di meno, cominciava ad essere un po’ insofferente. Ho detto loro: “Avete sposato la causa e dovete esserne fieri. Fare 20 presenze a Padova è come farne 40 da qualunque altra parte”. Ed è così che la nostra crisi è finita ancor prima di iniziare». I mesi decisivi. Montebelluna è lo spartiacque: senza quel fortunoso gol di Mattin in zona Cesarini chissà come sarebbe andata a finire. «Ma sapevo che da lì a marzo si sarebbe deciso il campionato. Per questo ho chiesto due mesi di sacrifici enormi: vita sana e massimo impegno. È andata come immaginavo: in quel periodo abbiamo creato un carroarmato, che da febbraio in poi ha ammazzato tutti, ovunque andasse».

«Da Mogliano a Belluno abbiamo vinto davvero. Legnago ci ha dato solo la certezza di ciò che già sapevamo». I ricordi più belli. La vittoria più emozionante? «Legnago senza dubbio, la partita del secolo». E la più bella tecnicamente? «Il primo tempo di Fontanafredda, buono per ritmo e qualità. Poi di sicuro ci sono la gara di Valdagno, quella di Belluno, quindi Trieste e Chioggia». Le migliori partite, tutte lontano dall’Euganeo… «Perché in casa ci è quasi sempre bastato far gol e poi gestire. Per l’80% del campionato intimorire gli avversari con una tattica aggressiva e con la spinta dei nostri tifosi è stata una grande arma a nostro favore». I gol più belli? «Su tutti, quelli di Ferretti a Castelfranco e di Petrilli a Trieste». Il più importante? «Il primo rigore segnato da Cunico, dopo che ne aveva sbagliati due di fila». Infine, i tre momenti più significativi della stagione: «Il primo all’inizio, quando dissi a mia moglie che avevo l’accordo con il Padova: in lei vedevo la grande soddisfazione, l’orgoglio, ma allo stesso tempo le leggevo negli occhi la paura, come a dirmi: “Stai attento a quel che fai”. Poi l’abbraccio alla dirigenza dopo la partita di ritorno con la Sacilese: Fabrizio De Poli stava quasi piangendo, i Bonetto e i Bergamin erano un’esplosione di gioia, è stato lì che abbiamo capito che ormai era praticamente fatta. E infine Legnago, è naturale: lo sfogo finale dopo un intero anno di lavoro».




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