Nella testa compare sempre la stessa scena. L’Euganeo pieno, i 14mila di Padova – Palermo, la risposta che, ancora una volta, la città aveva saputo dare se adeguatamente stimolata. Sono quelle le ceneri ardenti di una provincia che il calcio lo segue eccome e che vorrebbe vedere la squadra in una categoria più consona alla sua dimensione. Padova, in tutta evidenza, non può meritare la Serie C: magari non può pretendere di essere in pianta stabile in Serie A ma almeno alla Serie B deve e può ambire, considerandolo un punto di partenza e non di arrivo. Negli ultimi trent’anni a queste latitudini di soddisfazioni ce ne sono state davvero poche e, ogni qual volta c’è stata la possibilità di fare il salto di qualità, quasi sempre si è cozzati contro un muro. Con due eccezioni: la promozione del 2009 in Serie B e quella del 2018, sempre in Serie B. Di finali playoff perse ce ne sono state tre: quella di Novara per la A, quella di Alessandria e quella di Palermo per la B. Tre momenti chiave della storia di questo club e tre delusioni cocenti da metabolizzare.
Nelle due precedenti stagioni, il Padova ha avuto per quattro volte la possibilità di salire di categoria e per quattro volte ha fallito. I motivi li abbiamo già analizzati a lungo e la nostra idea ce la siamo fatta. Entriamo per un attimo nella testa di Joseph Oughourlian, visto che non ci viene data la possibilità di parlarci ormai da tempo immemorabile e non possiamo sapere cosa gli passi per la testa, se non per interposta persona. Cosa può pensare il proprietario di una squadra ai vertici del campionato francese, che riceve dal suo terzo investimento soltanto delusioni dopo aver speso tantissimo? Magari ha pensato di disfarsene, magari lo pensa ancora, di sicuro la sua presenza fisica manca tremendamente a tutto l’ambiente. Quello che si può dire è che, quantomeno in Italia, i tanti soldi che ha tirato fuori non li abbia spesi nella maniera migliore, visto e considerato che la dirigenza non è riuscita a portare la squadra in B. Il quarto anno del suo regno biancoscudato è grigio: si è ripartiti in estate all’insegna del ridimensionamento, ma non dello smantellamento, perché l’organico costruito è comunque competitivo per i primi posti, si è proseguito con una fiammata iniziale per chiudere adesso con risultati non soddisfacenti. A metà novembre il Padova ha quasi salutato la possibilità di giocarsi la vetta, perché sette punti con troppe squadre davanti sono tanti e alla data attuale la squadra ha dimostrato di non essere da primato. Corsi e ricorsi storici, poi, riportano sempre allo stesso punto. Ad ogni autunno, quasi sempre, arriva la crisi. Le motivazioni sono sempre diverse, eppure anche stavolta il Padova è ricaduto nella stessa buca.
C’era un solo appiglio a cui aggrapparsi per rivitalizzare una stagione che rischiava di essere, appunto, grigia: la nuova Curva Sud. La settimana appena trascorsa è stata terrificante. Sequestro del cantiere, si dice per cinque mesi o per quanto tempo chissà, sindaco e assessore allo sport indagati, mortificazione di un’intera tifoseria che assiste impotente a scenari avvilenti. Privata dell’unica vera luce in una stagione che già in estate si annunciava difficile. Era giusto azzerare tutto dopo la finale persa di Palermo? Assolutamente sì, era impossibile proseguire con un gruppo che per quattro volte fra regular season e playoff non era stato in grado di agganciare la B. Se non per una questione tecnica, per una mera questione ambientale e psicologica. Sì, era giusto cambiare. Ora passiamo alla seconda parte dell’analisi: come si è cambiato? Il giudizio su Bruno Caneo al momento è sospeso, nel senso che nelle ultime otto partite ha vinto solo una volta dopo un inizio entusiasmante. La squadra giocava bene, poi lentamente e progressivamente è parsa spegnersi. Il calo ce lo si poteva attendere, ma è arrivato decisamente troppo presto. Respingo totalmente il catastrofismo che improvvisamente alberga a queste latitudini, ma nemmeno ci si può rassegnare alla mediocrità. Non lo deve fare prima di tutto la società, prima di tutto per se stessa. Non posso pensare che a Oughourlian vada bene galleggiare in C in una categoria che è un bagno di sangue economico, quando il suo Lens dà l’assalto alle vette della Ligue1. Non posso pensare che l’unica ragione d’essere sia il grigio, il mediocre, l’insoddisfacente. La squadra non è scarsa. Ha potenzialità inespresse e qualche lacuna, non sarà da primo posto ma non è nemmeno da decimo o, peggio, da playout. Nel mentre che si ricerca una spinta verso l’alto, tutti in città non si devono rassegnare. Oltre a Oughourlian, non si devono rassegnare i dirigenti, non si possono rassegnare i giocatori e non si può rassegnare l’allenatore.
Per il resto ci sarà tempo. Con una certezza: se anche Oughourlian si dovesse stancare, o se stanco lo è già, di sicuro non si cadrà nel vuoto. Per anni abbiamo ascoltato la barzelletta che dietro a Marcello Cestaro non ci fosse nessuno. Per anni si è millantato che non esistesse un’alternativa semplicemente perché la società, oberata di debiti, era invendibile. Quando ha fatto crac, gli imprenditori sono comparsi. I padovani Bergamin e Bonetto, finché hanno potuto. E, se non ci fossero stati loro, sarebbe arrivato qualcuno da fuori. Anche oggi basta creare le condizioni per cui questo avvenga. E, per concludere, anche se Oughourlian decidesse di passare la mano, state pur certi che la società non cadrebbe in un buco nero. Le alternative esistono e, in tutti i casi, rassegnarsi alla mediocrità non è un’opzione. Non lo è per nessuno, neppure per chi sta sul ponte di comando.
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