Padova, l’analisi della stagione de “Il Mattino di Padova”: dalla società a Brevi, passando per squadra e tifosi…

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Una “mazzata”. Per l’intero ambiente, dalla società allo staff tecnico, dai giocatori alla tifoseria, dai media a quella parte della città e della provincia che pure segue distrattamente le vicende calcistiche biancoscudate.

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I punti di vista diversi (con tanto di litigi) fra i due soci storici sono stati smussati in nome del quieto vivere, ma, al di là della facciata di apparente unità, per due volte si è entrati in rotta di collisione sull’allenatore. La prima dopo il k.o. di San Benedetto del Tronto (11 ottobre 2016), con il patron mossosi insieme al direttore generale per incontrare prima Serena e poi Petrone, papabili per la panchina, e tornato alla fine sui propri passi anche per la difesa strenua del mister da parte del direttore; la seconda dopo la sconfitta di Bolzano, con il Sudtirol, il 30 aprile scorso. Roberto Bonetto, in un incontro piuttosto burrascoso avvenuto il 1º maggio, aveva chiesto di sollevare Brevi, puntando su Carlo Sabatini, uno che gli spareggi li avevi vinti nel 2009, ma aveva trovato la fiera opposizione sia del presidente che di Zamuner. Meglio il ritiro (a Pieve di Soligo) che un avvicendamento di guida tecnica, e così il Padova andò a meditare sulle colline trevigiane. E adesso, che succede? La partita si sposta tutta dentro le stanze della società, con Bergamin (che ha il 42% delle quote) deciso a ridimensionare il peso economico della sua partecipazione, e Bonetto (che detiene il 30%) che attende, invece, di capire se si manifesterà o meno l’interesse di un nuovo imprenditore, il quale avrebbe espresso al presidente l’intenzione di acquisire il 51% del capitale, diventando così l’azionista di maggioranza. Entro fine maggio il rebus dovrà essere risolto, pena un netto ridimensionamento di budget e obiettivi.

Zamuner. Investito del ruolo di direttore generale, lui che è stato procuratore di calciatori sino a due stagioni fa, non ha fatto male, ma neppure così bene come qualcuno ha voluto far credere. La campagna acquisti di gennaio è risultata, alla prova del campo, insufficiente: lista degli “over” chiusa con 15 nomi, ma una casella, la sedicesima, è rimasta vuota. E lì ci poteva stare benissimo un altro attaccante, magari un esterno, in grado di consentire una variazione del modulo più proficua, dal 3-5-2 al 4-4-2 o 4-3-3.

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La rosa era di buona qualità, ma si è rivelata troppo limitata e di età media piuttosto avanzata. È andata su e giù dalle montagne russe del rendimento, peccando di personalità e carattere al momento decisivo. Per troppi elementi il fatto di essere sotto contratto anche per il prossimo anno è stato più di danno che di stimolo. Chiamatelo appagamento inconscio, dategli pure la definizione che volete, ma in diversi si sono… seduti. Gli infortuni hanno fatto il resto, eppure della fragilità di Neto si sapeva. Il vero leader è mancato, neppure Emerson lo è stato più, da aprile a domenica scorsa. Ultima cosa: i biancoscudati andavano controllati maggiormente. Anche sul piano alimentare. Siamo curiosi di capire in quanti resteranno.

Brevi. Il fallimento è nei risultati, oltreché nel gioco, sebbene, secondo noi, un’identità il Padova l’abbia avuta dall’undicesima partita (con la Reggiana in casa) sino al match con la Feralpi, salendo addirittura al secondo posto, a – 6 dal Venezia capolista. L’allenatore milanese è parso limitato nelle variabili al modulo scelto (il 3-5-2), rifiutando a priori di modificarlo quando alcuni giocatori erano palesemente giù di forma. Un vero e proprio regista gli è mancato, ma più per colpa sua che della società. Poco propenso a puntare sui giovani (a parte Mazzocco), non ci è piaciuto per niente nella gestione finale: ritiro, squadra nascosta negli allenamenti (e domenica è andata in campo la solita formazione, con il solito modulo, vai a capire i motivi di tanto… mistero), e insofferenza a qualche rilievo della critica. Senza contare che il feeling con l’ambiente non è mai sbocciato. Il contratto non gli verrà rinnovato, questa al momento è una delle (poche) certezze.

Tifosi. A proposito di feeling, un’altra pecca è stata la mancanza di partecipazione totale dei padovani alle vicende dei biancoscudati. La “Fattori” ha fatto, come sempre, la sua parte, i fedelissimi di Tribuna Est e Ovest (anche se questi ultimi alle volte ipercritici) la loro, ma nel complesso, in uno stadio enorme e con troppi vuoti anche nelle sfide-clou (Parma e Venezia), la risposta della piazza non è stata mai quella sperata. Mettiamoci certi orari assurdi in cui si è giocato, la bruttezza dell’Euganeo, la tendenza a snobbare la terza serie da parte di molti, fatto sta che s’impone un’approfondita riflessione sulla distanza di una città che sembra avere in parte ripudiato il suo principale simbolo sportivo.

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(Fonte: Mattino di Padova, Stefano Edel. Trovate il resto dell’articolo sull’edizione odierna del quotidiano)




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